XI CONVEGNO NAZIONALE FISCOSPORT: presenti numerosi rappresentanti della “rete” dei Professionisti del Terzo Settore e dello Sport.
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RIFLESSIONI DEL “GRILLO PARLANTE” A MARGINE DELL’XI CONVEGNO NAZIONALE DI FISCOSPORT

Impossibilitato a partecipare all’XI Convegno Nazionale di Fiscosport, Guido Martinelli, Professionista del Terzo Settore e dello Sport, affida al “Grillo parlante” alcune profonde riflessioni a margine del Convegno, soffermandosi su di un problema a lui particolarmente caro: il precariato nello sport dilettantistico. Si chiede e ci chiede: Sareste contenti di avere un figlio con un contratto di prestazione sportiva dilettantistica? O di collaborazione amministrativo – gestionale come loro unica attività?

E’ quello, dell’Avvocato Martinelli, un accorato appello alle Associazioni, ma soprattutto ai loro Consulenti, chiamati ora più che mai a farsi guidare dal faro dell’Etica nei loro comportamenti.

Non avendo potuto partecipare al recente meeting di Milano di Fiscosport, consentitemi, comunque, in maniera molto discorsiva, di esprimervi le considerazioni che avrei voluto fare nel corso di quell’incontro.

Partiamo proprio dall’etimo del termine sport. Sotto il profilo giuridico non abbiamo una definizione di sport. Proprio in questi giorni ho avuto notizia di un master parauniversitario sugli e-sports, attività di grande popolarità in questo momento, balzata agli onori della cronaca alla luce del parziale riconoscimento operato dal CIO. Ebbene io non voglio entrare nel merito se gli e-sports siano veramente sport o meno, il problema a mio avviso è diverso. Gli e-sports, così come molte altre attività “parasportive” che vengono oggi praticate per me sono tutti sports ma, qui sta il problema, se sono tutti sports, tutti gli sports meritano di godere dell’attenzione da parte dell’ordinamento ed ottenere un trattamento di favore, evidentemente a carico della fiscalità generale? Ebbene secondo me no. Qui sta il punto. Purtroppo sono convinto che molte attività vengono ricondotte al termine “sport” non perché vi sia un interesse sociologico od educativo o motorio retrostante ma solo perché così si entra in un regime giuridico – fiscale che non ha uguali sotto il profilo delle agevolazioni nel nostro ordinamento.

Se questo fosse vero, a questo punto fino a quando riusciremo a dire che è tutto sport, che giocare con un monitor merita maggiore attenzione, da parte del legislatore, che fare un corso di lingua straniera o assistere ad un anziano? Ecco io vorrei che riflettessimo su questo. Per ruolo, come consulenti, siamo spinti a fare in modo che il nostro cliente possa godere delle maggiori facilitazioni possibili. Lo facciamo tutti, lo faccio anch’io. Ma, come sistema fiscosport, consentitemi di usare questo termine, dovremmo poter valutare fino a quando il sistema potrà reggere questo tentativo di metterci dentro tutto, qualsiasi attività nessuna esclusa? Io non so cosa sia sport o cosa non lo sia ma un criterio dovremmo prima o poi trovare o no?

Così come il tentativo di far rientrare qualsiasi attività lavorativa praticata nello sport tra quelle ricomprese nel campo di applicazione dell’art. 67 primo comma lett. m del Tuir? Sareste contenti di avere un figlio con un contratto di prestazione sportiva dilettantistica? O di collaborazione amministrativo – gestionale come loro unica attività? Probabilmente no ma allora perché vedete con timore ogni tentativo di uscire da questo pozzo in cui è caduto il lavoro sportivo? Perché non arrivano contributi e spinte per uscirne? La risposta è la solita: perché se si dovessero pagare i contributi a tutti dovremmo chiudere gli impianti. Questa è una mezza verità. In primis perché altri stanno sul mercato da impresa senza ricorrere al paravento della SSD, in seconda battuta perché quando il legislatore aveva creato la figura della società sportiva lucrativa (forse troppo frettolosamente liquidata) molti di coloro i quali ora dichiarano l’insostenibilità dei contributi previdenziali per il sistema sports erano pronti a fare la lucrativa e iniziare a inquadrare correttamente i loro lavoratori.

Ma anche qui da cittadini ve lo chiedo, pensate che il sistema di welfare del nostro Paese sarà in grado di tutelare migliaia di lavoratori che ormai dal 2000 non stanno versando contribuzione previdenziale o assicurativa? Che futuro potremo garantire a questi che in alcuni casi non sono più neanche tanto giovani? Il rischio (e non vorrei che le recenti novità del Coni non abbiano insegnato niente!!) è che se il sistema non lo riformiamo noi, ci penseranno altri che, magari, lo conoscono peggio e rischiano di fare ulteriori danni

Ormai lo sport è un sistema economico, che ci piaccia o meno, e la presenza di operatori che utilizzano, per la stessa attività e per lo stesso target di praticanti, regole diverse, tra imprese e ssd, lede il meccanismo della concorrenza e diventa un mercato “malato”. Malato perché si pensa che gestire una palestra possa costare “relativamente poco” e questo ha fatto sì che si sono improvvisati troppi operatori, a volte con scarsi capitali e professionalità. Una minore concorrenza avrebbe potuto aumentare l’indice di riempimento degli impianti e di conseguenza la redditività degli stessi. Con conseguente possibilità di dare “lavoro buono” agli operatori.

E’ quello che sta un po’ succedendo nella mia città, Bologna, dove ormai ci sono più locali dedicati alla ristorazione che in molte altre parti di Italia. Bene le chiusure sono …. tante!

Capisco che vi sto annoiando con prediche sicuramente da voi non richieste. Diciamo che l’età spesso fa correre dei brutti scherzi alla lucidità mentale.

Un ultimo spunto di riflessione se avete avuto la pazienza di arrivare fin qui. Ai miei tempi fare un corso di avviamento alla pratica sportiva era gratuito. Oggi no ma diversa è la funzione. Cinquant’anni fa si facevano per cercare, tra centinaia di ragazzi, i due o tre che avevano le qualità per salire di categoria, oggi si fanno da un lato per soddisfare una domanda di attività motoria ma, dall’altro, per finanziare l’attività dei gestori del corso.

Ma se così è, e non c’è nulla di male si intende, non può che essere considerata attività commerciale, non potrà certo essere una tessera rilasciata con la scusa della copertura assicurativa che la potrà far diventare una attività “istituzionale”. Quindi lottiamo ed impegniamoci perché, per le finalità salutistiche dell’attività sportiva questa possa rientrare tra le attività “esenti” da Iva e non “arrabbiamoci” troppo, se in sede di verifica, questa ci viene considerata commerciale, in fondo perché il nostro cliente ha organizzato questo corso? Chiedete una risposta sincera. Se sarà perché voglio diffondere la specialità del …… avete ragione voi. Ma se sarà perché credo che questo corso si ripaghi i costi e mi offra un compenso, beh, allora, forse un po’ di ragione l’ho anch’io (e anche l’agenzia delle entrate nel caso).

Grazie se siete arrivati fino a questo punto. Credo si debba recuperare anche un po’ l’etica del Consulente, quella che mi hanno insegnato i mie maestri, Espedito Panza (molti di Voi forse conoscono il figlio, ora segretario generale della FIN), Claudio Coccia e Gianluigi Porelli. Il cliente non ha sempre ragione e noi non possiamo e non dobbiamo diventare strumenti di quello che vuole il nostro cliente. Grazie ancora”.

Guido Martinelli

Bologna, 12 maggio 2019, ore 23.36



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